La raccolta fondi per le Filippine, con tutta l’organizzazione per la distribuzione del cibo ai poveri di Rosario, mi à fatto capire molte cose. A partire dall’utilità di avere qualcuno sul posto che conosce la realtà dove si opera (è fondamentale conoscere i rapporti sociali della popolazione per operare bene).
Una delle cose che non sapevo, ad esempio, è che ai poveri a cui viene distribuito il cibo non si deve dire chi sono i donatori. Questo infatti potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza di chi fa la distribuzione. Chi riceve le razioni di cibo deve sapere che c’è chi à fatto una donazione ma che non può pretendere altro. Che sembra brutto da dire, ma è così.
Una cosa di cui non mi ero mai reso conto è che la logistica da quelle parti è un filino più complicata. Noi ormai siamo abituati a fare due click sul telefonino e ci arriva qualsiasi cosa a casa in tempi brevissimi. Se invece devi ordinare tre quintali e mezzo di riso nelle Filippine… be’, non è così semplice. In tempi di pandemia poi (quando pochi sono autorizzati ad andare in giro a fare trasporti) non ne parliamo.
Un’altra cosa su cui ò riflettuto a lungo è stata la pubblicazione delle fotografie. Ad ogni distribuzione ricevevo foto di persone in fila a ricevere il cibo a cui davano un cartello di ringraziamento per i donatori e col quale si facevano la foto.
Personalmente trovavo la cosa abbastanza umiliante. Oh, sia chiaro, se io non avessi di che mettere in tavola per sfamare la mia famiglia sarei disposto a fare qualsiasi foto pur di portare a casa qualche kg di riso. Però…
In quelle foto alcuni sorridevano, altri invece apparivano tristi.
Può anche darsi che fossero preoccupati per la pandemia da covid, ma secondo me qualcuno si sentiva umiliato a farsi fotografare mentre riceveva il sacchetto di riso e le uova. Voglio dire, se qualcuno mi fotografasse davanti alla mensa dei poveri ci rimarrei male, mi sentirei umiliato.
Ricordate l’espressione “utang na loob“? È difficile da tradurre ma più o meno significa questo: ti sono grato non perché sono obbligato ma perché sono felice per quello che di buono ài fatto per me. Per i filippini dunque fare quelle foto non è visto come un dovere, ma le fanno volentieri. Posare per la foto era il modo per dire grazie, quindi lo facevano senza vergogna.
Eppure io qualche volto che pareva mortificato l’ò visto in quelle foto. Possono dirmi che c’è tutto l’utang na loob di questo mondo, ma qualcuno probabilmente si sarà vergognato di fare la foto mentre riceve il pacco di riso.
Mi sarebbe piaciuto mostrarvi le foto, ai donatori della prima settimana ne avevo mandata anche qualcuna via email, ma poi ò deciso che era sbagliato. Nessuno di voi incontrerà mai quelle persone, non ci sarà nessuna umiliazione, ma il rispetto per i poveri ci vuole sempre.
Dopo aver fatto queste riflessioni mi sono accorto che sono diventato sensibile a tutte le foto di poveri che vengono pubblicate. Per qualche motivo quando vengono mostrate opere caritative in luoghi lontani non vengono mai oscurati i volti di chi riceve gli aiuti. Ci avete mai fatto caso?
Siamo sensibilissimi a oscurare il volto di un minorenne quando ne pubblichiamo le foto sui giornali se è un bambino di casa nostra, ma se mostriamo la foto di un bambino africano aiutato in qualche iniziativa caritativa ne pubblichiamo la faccia senza problemi. Perché? Non à diritto alla riservatezza personale perché è lontano. O perché è africano?
Direte che sono problemi di poco conto, ché al bambino africano importa mangiare e studiare non la riservatezza dei dati personali. Può darsi, però io vedendo le foto dei poveri che abbiamo aiutato nelle Filippine ò visto persone come noi che ànno gli stessi sentimenti che possiamo avere noi.
Nel pescatore cinquantenne di Rosario (che dimostrava settanta anni per via della pelle bruciata dal Sole) ò visto mio nonno contadino. Ne à dovute raccogliere tante di umiliazioni per la sua povertà ed erano umiliazioni che gli pesavano. Non è che siccome era povero e “l’importante è mettere qualcosa in tavola” allora i sentimenti sparivano. Non mi sarebbe piaciuto vedere la foto di mio nonno in coda per un pacco di riso, parimenti non ò pubblicato nemmeno le foto del pescatore o del guidatore di traic.
Magari mi faccio troppi scrupoli io, magari è vero che nessuno di quei poveri avrebbe avuto problemi alla pubblicazione delle foto. Ma io ò deciso così. Questa iniziativa mi à insegnato questa cosa importante: fare sempre la carità con il massimo rispetto di chi la riceve, come se fosse tuo nonno.
Nel frattempo la situazione sta migliorando, la gente torna a lavorare e a guadagnare. Nelle scorse settimane abbiamo fatto altre distribuzioni. Dei 27.118 peso rimasti in cassa ne abbiamo spesi 24.403 per il classico riso più del pollo per i bambini. Rimangono in cassa dunque 2.715 peso, più altre 100 euro che dei vicini di casa di mia mamma ànno donato nel frattempo. Visto che non sono sufficienti per una distribuzione classica come quelle fatte fino ad ora li useremo per tamponare situazioni di emergenza con interventi più piccoli.
Da parte mia vi dico ancora una volta grazie. Grazie per la vostra generosità, di qualsiasi cifra.
Di questa esperienza mi rimarranno per sempre impressi nella mente (e nel WhatsApp) i volti di decine e decine di persone che abbiamo aiutato. È stata una cosa bella, davvero.
Avrete notato che i post qui sotto non ci sono più. Un giorno magari racconterò anche perché. Forse.
Per adesso il blog si ferma qua. Non era stato preventivato, ma è capitato in questo momento.
Queste pagine sono state utili a qualcuno per informare un amico su di un argomento. A me sono state utili perché qui ò trovato alcuni amici (di quelli veri). Ai poveri di Rosario è stato utile per trovarsi nella pancia qualcosa da mangiare durante questa pandemia. Ma per ora finisce qui. Un po’ come tutti i salmi che finiscono in gloria.
Ci rivedremo da qualche altra parte, o forse no, chissà. Io sono qui, se passate da queste parti fatemi un fischio.